LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nei giudizi riuniti iscritti al n. 85 del ruolo generale contenzioso dell'anno 1995 aventi ad oggetto i ricorsi in appello proposti rispettivamente da Parrotta Domenico, rappresentato e difeso dall'avv. Vincenzo Viceconte e dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rossano in data 17 gennaio 1995 nella causa elettorale vertente tra Parrotta Domenico e Vitale Giuseppe e presidente del consiglio comunale di Pietrapaola; Letti i ricorsi e gli atti tutti di causa; Udita la relazione del consigliere relatore; Uditi il procuratore del ricorrente Parrotta ed il pubblico ministero in persona del dott. Giuseppe Chiaravallotti, avvocato generale presso questa Corte; Ritenuto e considerato quanto segue; Esposizione del fatto Alle elezioni amministrative del 20 novembre 1993 Parotta Domenico veniva eletto consigliere comunale nel comune di Pietrapaola e la sua elezione veniva convalidata dal consiglio. Con nota del 13 settembre 1994 il prefetto della provincia di Cosenza rimetteva al presidente del consiglio comunale di Pietrapaola copia di sentenza penale pronunciata dal tribunale di Rossano in data 2 dicembre 1987, irrevocabile il 2 gennaio 1988, con la quale il Parrotta era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione e L. 200.000 di multa per il delitto di cui agli articoli 12 e 14 della legge n. 479/1974 per avere illegalmente portato in luogo pubblico un fucile da caccia cal. 16, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e della diminuente di cui all'art. 5 legge n. 897/1967. Al Parrotta veniva concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena inflitta. Il prefetto con la sopracitata nota rilevava che alla stregua della condanna riportata dal Parrotta doveva considerarsi nulla la sua elezione alla suindicata carica ai sensi dell'art. 1, quarto comma, della legge 18 gennaio 1992, n. 16. Con delibera del 12 ottobre 1994 il consiglio comunale di Pietrapaola revocava la convalida della elezione del Parrotta a consigliere e con successiva delibera dello stesso giorno lo surrogava col consigliere Vitale Giuseppe, primo dei non eletti nella stessa lista. Avverso tali delibere proponeva ricorso, ai sensi dell'art. 9-bis e 82 della legge 16 maggio 1960, n. 570, il Parrotta, evocando davanti al tribunale di Rossano il Vitale Giuseppe e il sindaco del comune di Pietrapaola ed il presidente di quel consiglio comunale perche' venisse dichiarata la nullita' o invalidita' delle suddette delibere e dichiarata la insussistenza della ritenuta causa di ineleggibilita', con conseguente obbligo del consiglio di reintegrarlo immediatamente nella carica con sentenza provvisoriamente esecutiva. Nel costituirsi con propria memoria, il p.m. sollevava questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, lettera a) della legge 18 gennaio 1992, n. 16, recante "norme in materia di elezione e nomine presso le regioni e gli enti locali", nella parte in cui stabilisce che non possono essere candidati a ricoprire le cariche ivi indicate coloro che hanno riportato condanna per delitto "concernente l'uso o il trasporto di armi, munizioni o materie esplodenti", in riferimento agli articoli 3 e 51 della Costituzione. Con la suindicata sentenza il tribunale di Rossano ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.m. e, nel merito, ha rigettato per infondatezza il ricorso proposto dal Parrotta. Con i proposti gravami il Parrotta ha censurato l'impugnata decisione per aver i primi giudici erroneamente interpretato la norma contenuta nell'art. 1, comma quarto, della legge n. 16/1992 assimilando la fattispecie di porto abusivo di arma comune con quella di "uso di trasporto" prevista dalla citata legge ed il p.m. ha riproposto all'attenzione di questa Corte la questione di legittimita' costituzionale erroneamente disattesa dai primi giudici, richiedendo, in subordine, in riforma dell'impugnata sentenza l'annullamento della delibera consiliare del 12 ottobre 1994 con le conseguenziali statuizioni reintegratorie di legge. Motivi della decisione Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rossano ha, con il ricorso in appello, riproposto la questione di incostituzionalita' sollevata in primo grado e dichiarata manifestamente infondata dai primi giudici, osservando specificamente che: gli impedimenti al diritto di elettorato passivo, per un verso devono rispettare il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 e ribadito dall'art. 51 della Carta fondamentale e, per altro verso, non possono estendersi e dilatarsi oltre il limite strettamente necessario a garantire l'interesse pubblico, giacche', per il succitato art. 51 della Costituzione, "l'eleggibilita' e' la regola, la ineleggibilita' l'eccezione"; che il legislatore del 1992, laddove, modificando i commi primo, secondo, terzo e quarto dell'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, ha sancito, all'art. 1, lettera a), della legge 18 gennaio 1992, n. 16, la ineleggibilita' alle cariche pubbliche ivi indicate - tra cui quelle a sindaco, assessore e consigliere comunale - per chi abbia riportato condanna, anche non definitiva, tra l'altro "per un delitto concernente l'uso o il trasporto di armi, munizioni o materie esplodenti", si e' sottratto all'ineludibile obbligo di congrua determinatezza o tipizzazione delle fattispecie assunte a causa ostativa all'esercizio del fondamentale diritto pubblico soggettivo di elettorato passivo. La questione, contrariamente alle argomentazioni dei primi giudici, a parere di questa Corte e' rilevante e non manifestamente infondata. Puo' fondatamente dubitarsi che la norma sopra richiamata, avendo il legislatore previsto quale causa di ineleggibilita' la condanna riportata per un delitto "concernente l'uso o il trasporto di armi", espressione quest'ultima del tutto generica e suscettibile di essere oggetto di interpretazione sino a ricomprendere le situazioni piu' diverse, si pone in contrasto sia con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione e sia con il successivo art. 51 che recita "tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici o alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti della legge". Gia' con altra pronuncia del 28 novembre 1972 la Corte costituzionale, in fattispecie analoga, rilevava quanto segue: e' vero che l'art. 51 della Costituzione rimette alla legge di stabilire i requisiti di eleggibilita', i quali possono essere cosi' positivi come negativi ed ostativi, ma proprio perche' quest'ultimi, risolvendosi in causa di ineleggibilita', formano altrettante eccezioni al generale e fondamentale principio, enunciato in apertura dello stesso art. 51, del libero accesso, in condizioni di uguaglianza, di tutti i cittadini alle cariche elettive, e' necessario che siano tipizzati dalla legge con determinatezza e precisione sufficienti ad evitare, quanto piu' possibile, situazioni di persistente incertezza, troppo frequenti contestazioni, soluzioni giurisprudenziali contraddittorie, che finirebbero per incrinare gravemente, in fatto, la proclamata pari capacita' elettorale passiva dei cittadini. Sulla base di tali principi non possono non condividersi i profili di incostituzionalita' della norma sopra richiamata dai confini estremamente generici ed elastici, suscettibile di essere dilatata in sede interpretativa sino a ricomprendere le situazioni piu' diverse e meno gravi tali da non giustificare ragionevolmente l'ineleggibilita' dovendosi convenire che: la dizione lessicale del dettato normativo "delitti concernenti l'uso e trasporto di armi" non consente di individuare univocamente le specifiche fattispecie di reato per le quali il legislatore ha inteso riservare la causa di ineleggibilita' dovendosi, comunque, rilevare che l'espressione "uso di armi" non puo' essere assunta come equivalente a quella di porto e detenzione di armi giacche' usare un'arma e' cosa diversa dal mero portarla o dal semplice detenerla o trasportarla sia sotto il profilo lessicale e sia sotto il profilo concettuale e della sua specifica accezione giurisprudenziale ed anche legislativa; la mancata previsione normativa delle ipotesi di porto e detenzioni di armi e l'utilizzazione della generica espressione "uso o trasporto" non esclude l'intenzione del legislatore di individuare altre ipotesi ostative all'esercizio del diritto di elettorato passivo o l'esclusione di determinate fattispecie criminose meno gravi dovendosi rilevare che nell'applicazione interpretativa restrittiva di detta norma sarebbe eleggibile alle precitate cariche rappresentative chi ad esempio abbia riportato condanna per il grave reato di porto abusivo di arma da guerra (art. 4 della legge n. 895/1967 e successive modificazioni: pena sino a dieci anni di reclusione), mentre sarebbe ineleggibile chi abbia riportato condanna per il piu' lieve delitto di semplice trasporto di armi, nell'ipotesi prevista dall'art. 18 della legge n. 110/1975 (pena sino ad un anno di reclusione) e, di contro, ad un'interpretazione estensiva verrebbero accomunate in una stessa gravissima sanzione ipotesi di ben diversa rilevanza nei limiti rigorosamente necessari al soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse, ricollegantesi alle funzioni elettorali (col condannato per gravi reati di porto e detenzioni di armi, munizioni, esplosivi, aggressivi chimici e congegni micidiali di guerra, sarebbe ugualmente ineleggibile, ad esempio, l'incauto erede che non abbia provveduto a nuovamente denunciare l'arma gia' denunciata dal sua dante causa). Conclusivamente deve convenirsi che la norma in oggetto, introducendo nell'ordinamento cause di ineleggibilita' non tipizzate con precisione e determinatezza, porta inevitabilmente a situazioni di persistente ed irrisolvibile incertezza, lasciando spazio ad interpretazioni piu' varie ed a decisioni, nella pratica giudiziaria, contrastanti e gia' verificatisi nell'ambito di questo circondario avendo il tribunale di Castrovillari, in fattispecie identica, con sentenza evocata dallo stesso ricorrente in prime cure ed allegata agli atti, accolto il ricorso evidenziando nella motivazione che allorquando la legge n. 16/1992 parla di uso e trasporto di armi, essendo tali fatti sufficientemente determinati e non comparabili (e men che meno equiparabili) a condotte, seppure simili, ampiamente differenti sia oggettivamente che soggettivamente, non e' possibile intendere quei termini in accezione diverse, piu' ampie o semplicemente analogiche. La Corte, pertanto, riconosciuta la rilevanza ai fini della decisione del ricorso in appello e della non manifesta infondatezza delle suindicate questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, lettera a) della legge 18 gennaio 1992, n. 16 nella parte in cui stabilisce che non possono essere candidati a ricoprire le cariche ivi indicate coloro che hanno riportato condanna per delitto concernente l'uso o il trasporto di armi, munizioni o materie esplodenti, in riferimento agli articoli 3 e 51 della Costituzione, sospende il giudizio in corso e rimette le questioni stesse all'esame della Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, dell'art. 1 e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.